il-mostro-di-terrazzo
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di Gennaro De Stefano e Antonio Murzio
Gianfranco Stevanin, 45 anni, il serial killer di Terrazzo, in provincia di Verona, condannato all’ergastolo per aver ucciso tra il 1993 e il 1994, cinque giovani donne, ha maturato le condizioni per tornare in libertà con un permesso premio. Questo non vuole dire però, come spiega il criminologo Massimo Picozzi a pagina 46, che l’assassino potrebbe davvero lasciare il carcere. È da ritenere praticamente impossibile che le commissioni di esperti psicologi, incaricate di valutare eventuali richieste di permessi, diano il loro assenso. Anche se nessuno dimentica (ecco la raagione dell’inquietudine) che altri assassini seriali come Angelo Izzo, uno dei boia del Circeo hanno potuto godere di questi benefici e ne hanno approfittato per compiere altri orrendi crimini. La notizia che Stevanin a norma di legge potrebbe uscire in permesso premio, giunge insieme alle affermazioni del tenente colonnello dei carabinieri Gianpiero Paparelli, che si occupò a suo tempo delle indagini, e che a Gente, rivela: «Mi resta il cruccio di non aver potuto continuare a scavare nei terreni di proprietà degli Stevanin. Sono convinto che altri cadaveri di persone scomparse e mai più ritrovate, verrebbero fuori. Noi, all’epoca, abbiamo delineato tutta una serie di omicidi. Pur non avendo elementi, ci convincemmo che, probabilmente, Stevanin aveva ucciso nove vittime. Durante l’indagine trovammo anche tracce di persone uccise, di cui nessuno ha denunciato la scomparsa. Se avessi potuto, avrei scavato per tirar fuori, oltre a qualche fotografia, anche qualche corpo per potergli dare, come si dice, cristiana sepoltura». Ma perché non si scavò? «Perché», risponde Paparelli, «all’epoca si disse: “Dobbiamo andare al processo subito, con le prove che abbiamo, per scongiurare la scadenza dei termini di custodia cautelare. Poteva essere controproducente chiedere una proroga, con tutto quello che avevamo in mano. Chiamiamola pure fretta. Perché non si sia più andato avanti», prosegue l’ufficiale, «non lo so, forse dovreste chiederlo alla dottoressa Omboni che conduceva l’indagine. Il magistrato, prima del rinvio a giudizio, ritenne che, dal punto di vista processuale, non era opportuno allungare i tempi». Una dichiarazione scioccante quella del tenente colonnello. Maria Grazia Omboni, oggi alla Procura Generale di Brescia, spiega a Gente: «Quella di poter trovare altri corpi sepolti nel terreno di Stevanin era una ipotesi e si fece tutto quello che si poteva fare, ma non fu trovato nulla. Le ricerche furono molto estese, molto approfondite ma le ipotesi non trovarono conferma nelle indagini». L’avvocato vicentino Cesare Dal Maso, difensore del serial killer, si stupisce per il fatto che Gente sia a conoscenza della notizia del possibile permesso premio e preferisce ridimensionarla. Un criminale ve emettere al momento della richiesta avanzata dal detenuto». Dalla vicenda di cui Stevanin si rese protagonista (le vittime, tutte donne, furono trovate mutilate e di due non si è mai riusciti a risalire alla identità), vengono fuori ulteriori squarci di verità assolutamente inediti: almeno due delle vittime avrebbero potuto salvarsi. Alessandra Giulietti non aveva più notizie della figlia di 29 anni, Claudia Pulejo, dal 15 gennaio 1994. L’ultima volta che si erano viste, lei le aveva detto di avere un appuntamento proprio con Stevanin, che entrambi conoscevano, per scattare foto. A fine gennaio, quando la signora si presentò in caserma per denunciarne la scomparsa, le sue parole non destarono allarme. Claudia era tossicodipendente e bastò per stabilire che non c’era da preoccuparsi,che «sarebbe tornata». A nulla valsero le insistenze della Giulietti sul fatto che la figlia, che si bruciava l’esistenza con l’eroina, non aveva mai smesso di andarla a trovare ogni due giordi quella fattura, premiato per buona condotta, scatenerebbe immediatamente le reazioni negative dell’opinione pubblica. L’avvocato ne è consapevole e dice: «Questo non è il momento opportuno per chiedere permessi premio, anche se al mio cliente è già stata concessa la liberazione anticipata prevista dalla legge». La “liberazione anticipata” è l’istituto giuridico che porta alla maturazione di 45 giorni di permesso per ogni semestre trascorso da internato; Stevanin è in carcere da 11 anni e otto mesi,ossia da 23 semestri. Pertanto, ha tutte le carte in regola per accedere a questo istituto premiale. «Gli altri presupposti per beneficiarne», spiega infatti Dal Maso, «sono che si riconosca un ravvedimento compiutamente provato e che non si sia organici alla criminalità organizzata. Questi requisiti sono in possesso di Stevanin. Vi è infine la valutazione sulla pericolosità sociale ,che il Tribunale competente [quello dell’Aquila. ndr], depo di Claudia fu disseppellito in novembre, mezzo metro sotto terra nel giardino della casa di Stevanin, “impacchettato” in strati di pellicola da cucina, in avanzato stato di decomposizione. Fausta Mannarino, giornalista che oggi dirige la redazione di Forlì del quotidiano La voce di Romagna, all’epoca dei fatti era cronista a La cronaca di Verona e collaborava con la trasmissione della Rai Chi l’ha visto,proprio sui casi delle ragazze scomparse nel Veronese. Il giorno del rinvenimento del corpo di Claudia, ricevette una telefonata: «Hanno ritrovato uccisa una certa Pulejo: non è la ragazza di cui la madre aveva denunciato la scomparsa?», disse la voce all’altro capo del filo. «Era una domenica ed ero di turno», racconta Fausta. «La prima cosa che pensai fu di andare a Terrazzo. Parlando con le persone del luogo, mi dissero che gli Stevanin avevano un casolare di campagna. Decisi di andare a dare un’occhiata. Ero con la fotografa del giornale. Arrivati alla cascina, trovammo la porta aperta e decidemmo di dare un’occhiata in giro. Dentro non notammo nulla di strano, tranne alcune cassette per la frutta riposte sotto un tavolo e ricolme di riviste pornografiche. Conoscendo la storia per cui Stevanin era nel frattempo finito in carcere (le sevizie alla prostituta austriaca Gabriella Mugser, salvatasi con uno stratagemma), pensai di aver fatto cilecca. Mentre stavamo per uscire, rivolsi ancora l’attenzione a quelle cassette. Diedi un calcio per spostare le riviste e vennero fuori le schede su cui Stevanin annotava le caratteristiche delle modelle che avrebbero posato per servizi fotografici porno da vendere a una fantomatica Tower Production di Milano. «Le raccolsi, erano una quarantina, e mi precipitai al giornale. Nel tragitto, chiesi a una persona che era in auto con noi, di leggermi solo le intestazioni. Quando sentii pronunciare il nome di Claudia Pulejo il sangue mi si gelò». Arrivata al giornale Fausta consegnò il materiale nelle mani del direttore. “Sei pazza!”, disse. Ma il giornale uscì con il contenuto di quelle schede. Per Stevanin, furono coniate le definizioni più svariate: il “mostro di Milwaukee della Bassa Padana” come l’americano che conservava le sue vittime in frigo e aveva pure lui la faccia d’angelo. Ma anche il “Landru di Terrazzo”, come Henri Landru il francese, che 100 anni fa, bruciò nella stufa dieci signorine.
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