Ridley Scott, il regista del “Gladiatore” e del più recente “American Gangster”, da tempo sta lavorando all’idea di ricavarci un film. Ma i rumors hollywoodiani non riescono ad anticipare come il grande film-maker possa rendere cinematograficamente la storia di un gioco che da settantacinque anni riesce a tenere incollati alle sedie dalle tre alle sette persone. Giocatori che in una sera possono perdere tutti i loro averi (e allora è colpa del dado, maledetta iella!) o diventare nel giro di poche ore grandi proprietari di case e alberghi, proprietari terrieri, possessori di quelle che ora vengono chiamate utilities – ma che tradizione vuole si chiamino società dell’acqua, del gas e dell’elettricità. E allora è tutto merito dell’abilità. E poco importa che, per accaparrarsi tutto quel po po di roba, si è lasciati al verde mogli o figli; se, mentre noi stiamo contando avidamente i nostri bigliettoni, il nostro migliore amico è ancora in compagnia di Jake “avanzo di galera (“Jailbird”, in inglese) dietro le sbarre. E’ il capitalismo, bellezza, e tu non puoi farci niente. E poi, diciamola tutta: in carcere non ci sono finiti anche immobiliaristi o banchieri ben più noti alle cronache? Danilo Coppola, Gianpiero Fiorani, Stefano Ricucci. Anche loro hanno provato il brivido della discesa infernale, dai circuiti della grande finanza alle patrie galere. Loro, però, ci hanno impiegato qualche anno, e perdere una banca o un patrimonio immobiliare reale, possiamo solo immaginarlo, farà molto più male che perdere la stazione Nord stampata su un tabellone colorato. E, poi, ci si può sempre consolare: nel caso di Ricucci, le sue disgrazie gli hanno fatto perdere l’Anna Falchi (a proposito, le ricordate le copertine dei rotocalchi prematrimonio: “Sposo Stefano solo per amore”?). A noi, comunque sia andata la partita, il letto matrimoniale continueremo a dividerlo con la persona che ci ha appena sbancato (in tal caso la chiameremo affettuosamente “Rumeniggae” per il mancato depilè alle gambe) e il saluto sulla porta allo zio depresso perché non ha mai vinto in vita sua, lo rafforzeremo con un sorriso ebete stampato sul volto, perché non ci siamo resi conto che il gruzzolo che è aumentato non è quello che avevamo in banca (ammesso che ci fosse), ma solo un mazzo di bigliettini colorati che ora ci tocca riporre nella scatola.
Venerdì scorso, era il 7 marzo, il Monopoli ha compiuto settantacinque anni, essendo stato “inventato” nello stesso giorno del 1933 da Charles Darrow, un ingegnere statunitense, che presentò la copia del gioco alla Parker Brothers. In una America travolta dalla Grande Depressione seguita al crollo di Wall Strett del 1929, l’ingegnere disoccupato aveva ricevuto da due amici la versione di un gioco molto simile a quello che di lì a poco avrebbe brevettato e pensò di presentarla all’azienda, che riscontrò, però, cinquantadue errori essenziali. Darrow non si perse d’animo e produsse in proprio 5000 copie del gioco. Newl 1935 alla Parker Brothers si resero conto che se un errore essenziale c’era stato, era stato il loro, e acquisirono i diritti. Cosa che permise a Darrow di ritirarsi in una pensione dorata, qualche anno più tardi, a soli 46 anni, e vivere di una cospicua rendita, dato l’enorme successo su scala mondiale del Monopoli.
Strade e piazze nella versione originale americana sono quelle di Atlantic City, nella versione italiana (dove il fascismo non vietò il gioco – come accadde nella Germania nazista dove Goebbels, ministro della propaganda, l’aveva ritenuto troppo giudaico-capitalista – ma si limitò a cambiare i nomi delle caselle: piazza della Vittoria divenne piazza del Littorio) si riferiscono a Milano. Perché fu prpprio nel capoluogo meneghino che l’editore Arnoldo Mondadori nel 1936, rifiutando l’acquisto dei diritti per il gioco in Italia, lo propose ad un suo giornalista, Emilio Ceretti che impiantò con due amici-soci (tra i quali William Toscanini, figlio del grande Arturo) la Editrice Giochi, che ancora oggi produce il Monopoli in Italia. Viale dei Giardini, nel gioco, è la via più cara, perché è proprio in quella via che Ceretti abitava pagando un affitto salatissimo.
La storia del Monopoli è piena di numeri e aneddoti: vietato in Unione Sovietica perché troppo capitalistico, “azzerato” a Cuba quando Fidel Castro salito al potere ordinò la distruzione di tutte le confezioni in circolazione, si calcola che in tutto il mondo diano state vendute più di 200 milioni di scatole e che più di 500 milioni sulla terra ci abbiano giocato almeno un a volta nella propia vita. Con qualche esagerazione: i banditi della famosa rapina al treno Glasgow Londra ingannarono il tempo nel loro rifugio, nelle prime 24 ore dopo aver messo a segno il colpo, giocando proprio a Monopoli. Con una variante più unica che rara: usarono come banconote quelle vere, circa due milioni di dollari, della rapina.
Anche la scienza ha fatto la sua parte: un appassionato del gioco racconta che alcuni anni fa è stato pubblicato su “Scientific American” un articolo che analizzava l’accesso ai vari terreni per mezzo delle teorie della catene di Markov. Matrici di transizione e calcolo delle probabilità hanno confermato che la casella in asoluto più frequentata è quella del transito-prigione, mentre le proprietà con il maggior numero di visite sono Largo Colombo e la Stazione Nord. Seguono piazza Dante e via Verdi.
Nei circuiti di appassionati del gioco è possibile trovare altri primati, non sempre protocollati: a Grrenlay, Colorado, nel 1974 otto ragazzi giocarono una partita sotterranea durata 100 ore. A Buffalo, sempre negli Stati Uniti, 350 sommozzatori si sfidarono in un torneo subacqueo che durò 1080 ore. Sempre in America, nel 1967, gli studenti dello Juniata College di Huntingdon (Pennsylvania) un gruppo di studenti giocò a Monopoli utilizzando le strade e i marciapiedi del campus. La tavola di gioco misurava 170 metri quadrati e i giocatori si muovevano con segnalino viventi che ricevevano le informazioni da messaggeri in bicicletta e radio ricetrasmittenti.
Ma perché il Monopoli ha avuto, e continua ad avere, tutto questo successo? Ecco le risposte fornite da un esperto in un forum: è facile da giocare, è solo poco più complesso del gioco dell’oca; ha regole semplici ma facilmente comprensibili, – direi quasi istintive – molto legate alla vita quotidiana. Comprare, vendere, pagare tasse avere imprevisti sono esperienze comuni a tutti, un po’ meno magari il finire in carcere; consente di dare sfogo al proprio ego, battendo gli avversari (questa è una caratteristica comune a molti giochi, ma nel Monopoli è maggiore perché normalmente si gioca con parenti ed amici); vengono stimolati alcuni istinti base dell’uomo, come la cupidigia e la crudeltà. Non si può negare di godere parecchio quando un qualsiasi avversario fallisce!; è rassicurante, infatti per vincere ci vogliono sia abilità che fortuna. E mentre la prima è prerogativa del giocatore, la Fortuna è per definizione aleatoria. In caso di sconfitta si può sempre dare la responsabilità al fato, ai dadi, mentre in caso di vittoria si è autorizzati a complimentarsi con se stessi per l’abilità; stimola ed esercita la socialità. L’abilità – di cui si è detto prima – consiste nel sapersi ben relazionare con gli avversari, al fine di fare gli affari migliori. E questo comporta l’essere falsi. Un giocatore “limpido ed onesto” non sarà mai un buon giocatore. Bisogna saper nascondere le proprie vere intenzioni di gioco; è totale, nel senso che assorbe completamente il giocatore e lo proietta un mondo diverso, fatto di tanti soldi, case, terreni…. insomma un po’ quello che tutti sognano.
Come non dare ragione, allora, al finanziere di Luigi Barzini jr, citato nella terza pagina del Corriere della Sera? Scriveva il grande giornalista: “Il Vecchio Finanziere, in un salotto milanese, mi raccontò con tono di confidenza: – Da un momento all’altro fui travolto e persi tutto. E’ che non avevo denaro liquido. Avevo investito troppo in case, in alberghi, ed avevo dovuto sborsare una somma forte per una società di pubblica utilità che mi serviva. In breve, giunse la cattiva sorte, in pochi minuti la fortuna che avevo fatto tanta fatica ad accumulare mi venne portata via di sotto il naso. – E quanto ha perso in tutto? – chiedemmo. – Eh, – fece lui socchiudendo gli occhi come per fare un calcolo rapidissimo- venti lire. – E non cercate di rifarvi? – – No. Non mi ci metto più. C’è mio figlio che ha diciotto anni che mi spoglia completamente tutte le volte. C’è mia figlia che manovra con abilità, non si trova mai allo scoperto. Io preferisco il mio lavoro. E’ più quieto e più riposante”.
Antonio Murzio (pubblicato su “Il Quotidiano della Basilicata”
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