di Antonio Murzio
Il giorno in cui il corpo di Giusy, quindici anni, subiva l’ultimo affronto della sua breve e sfortunata esistenza sul tavolo delle autopsie, Carlo Potenza, suo padre, parlava ancora del futuro della sua “bambina”. “Avrei voluto che continuasse gli studi, a differenza di sua sorella Michela che ha scelto di imparare il mestiere di parrucchiera”, diceva. Ignorava che a massacrare sua figlia, su una scogliera alle spalle dello stabilimento dimesso dell’Enichem, fosse stato suo cugino, che aveva una relazione con la figlia minorenne. “Non cerco vendetta, voglio solo giustizia”, aveva aggiunto Carlo Potenza. E al dirigente del commissariato di Manfredonia che coordinava le indagini aveva chiesto un “regalo di Natale”: la cattura dell’assassino della figlia.
Giovanni Potenza, 27 anni, pescatore, sposato e padre di due bambini, fu prelevato dalla polizia in mare aperto, sul peschereccio dove era imbarcato, a sette miglia dal porto molisano di Termoli. Era l’antivigilia di Natale. Messo alle strette dagli investigatori, crollò quasi subito: “Da due mesi avevo una relazione con Giusy. Volevo interromperla ma lei ha minacciato di raccontare tutto a mia moglie. Non ci ho visto più e l’ho colpita”. La furia di quell’omicidio rimase impresso sul volto orrendamente deturpato di Giusy. Il grosso masso con cui il suo amante l’aveva colpito le aveva lasciato un solo dente. Il viso era gonfio, con i grumi di sangue all’altezza della bocca. Gli occhi semiaperti erano quelli terrorizzati e increduli di una ragazzina che ha gli ultimi secondi di vita per scoprire che l’uomo che ti ha appena amata, ora ti sta uccidendo. Giusy era distesa a terra, indossava una maglietta gialla, aveva i pantaloni abbassati. Le braccia erano distese all’altezza della testa; le mani, con le palme rivolte verso l’alto, semiaperte. A rivederle oggi, alla luce degli sviluppi che la storia di Giusy poi avrebbe avuto, in quelle immagini sembra che solo la morte abbia restituito all’adolescente ciò la vita aveva cominciato a negarle. La sua innocenza, innanzitutto. Quella a cui si è sempre disperatamente appellato Carlo Potenza quando le voci su giri pericolosi in cui la figlia era finita hanno dapprima cominciato a circolare in paese e poi trovato riscontro nell’arresto di due giovani donne accusate di aver indotto Giusy a prostituirsi. Il tranquillo pescatore, che “non cercava vendetta ma voleva giustizia”, che dopo l’omicidio della figlia non è più andato per mare, e che secondo alcuni avrebbe pure cominciato a darsi all’alcol, ha giorno dopo giorno alimentato la sua sete di vendetta. E in un pomeriggio afoso di fine maggio, la sua mente provata ha pensato che un coltello conficcato nell’addome del padre di una delle due presunte sfruttatrici di Giusy potesse mettere fine alle sue pene. Ora è rinchiuso nel carcere di Foggia con l’accusa di tentato omicidio, lo stesso in cui il cugino assassino è dal giorno della confessione. Scelta inopportuna, anche secondo il dirigente del commissariato di Manfredonia, Antonio Lauriola, che dice “di averlo fatto presente al pubblico ministero”.
Lauriola è l’investigatore che ha risolto il delitto di Giusy in poco più di un mese e ha scoperto il giro “sporco” in cui la ragazza era finita, disponendo l’arresto di Filomena Rita Mangini (detta Floriana) 19 anni, appartenente all’omonima famiglia malavitosa e figlia del 41enne Pasquale, il pluripregiudicato per reati di droga colpito da Carlo Potenza. Assieme alla Mangini, che è incinta per la seconda volta, dopo aver avuto il primo figlio cinque anni fa da un ventenne poi morto ammazzato, è stata arrestata Rosalba Santoro, 24 anni. “Figlia di persone per bene”, tiene a precisare Lauriola che, nella sua casa di San Giovanni Rotondo, ricostruisce per “Visto” l’intera vicenda di Giusy, “sgombrando una volta per tutte il campo dalle fantasiose ipotesi del branco, delle messe sataniche o di una terza persona coinvolta nel delitto”.
Per il poliziotto, in tutta la storia di Giusy “c’è solo un buco di mezz’ora, quello tra quando la ragazza esce dalla cartoleria Bernini dove è andata a comprare i cd vuoti, incrocia all’uscita dal negozio un amico al quale dice di avere un appuntamento con il cugino (“lo zio”, invece secondo le testimonianze di un commesso del negozio che sente la conversazione) e si avvicina a una Punto di colore verde, ferma nella stradina che fiancheggia la cartoleria. In quell’auto, secondo le inquirenti, c’erano la Mangini e la Santoro. Sul sedile posteriore sedeva un uomo. Sono le 17,15. Le due sospettate, ora agli arresti domiciliari, negano con forza ma cè la testimonianza di un altro ragazzo che, poco prima, alle 17, ha visto la Punto verde e riconosciuto le due ragazze. Anche lui dice di aver visto un uomo seduto in macchina. E’ un amico di Giusy. Venti giorni prima ha incontrato la giovane studentessa dellistituto magistrale “Roncalli” e racconta a Lauriola: “Giusy era in abiti succinti e aveva freddo. Io sapevo che aveva cominciato a fare prestazioni sessuali dietro compenso e ho anche cercato di dissuaderla perché ero molto dispiaciuto”. Alle 17, 15 Giusy, uscendo dalla “Bernini”, si avvicina all’auto. Alle 17, 30 ha l’appuntamento con Giovanni Potenza dove arriva con mezz’ora di ritardo. “E l’ultima telefonata che risulta dai tabulati del suo cellulare – spiega Lauriola – è delle 17, 42. La chiama un amica. Poi il segnale si perde. La ragazza e l’amante si incontrano nei pressi dell’abitazione di Giusy. A bordo della Ford Focus di lui, si allontanano e giungono in riva al mare. Lì fanno l’amore per due volte, poi scoppia il litigio perché lui vuole interrompere la relazione, incominciata due mesi prima in occasione della festa patronale. Giusy, in preda alla rabbia, si allontana e al buio cade dalla scogliera. Giovanni Potenza va a recuperarla: Giusy è bagnata, è caduta in acqua, è dolorante. La riporta sulla scogliera servendosi di una scala naturale scavata nella roccia; poi, stanco, la poggia per terra. E’ in quel momento che la ragazza, secondo il racconto dell’omicida, minaccia di svelare tutto. Il Potenza è accecato dalla rabbia, prende il grosso sasso che è vicino alla ragazza e infierisce sulla povera Giusy”.
“La confessione di Giovanni Potenza” – continua Lauriola “collimerà alla perfezione con i nostri riscontri e con quelli dell’autopsia sul corpo della ragazza. Soprattutto quando, parlando del secondo rapporto avuto con Giusy, Giovanni Potenza racconta di averlo fatto in maniera scomoda. Alcune striature sul corpo della vittima lo confermeranno”.
“Le piste battute da subito dopo l’omicidio – dice ancora Lauriola – sono state due: quella familiare e quella della prostituzione, avendo raccolto nel corso delle indagini elementi che indirizzavano verso questi due ambiti”.
Floriana Mangini e Rosalba Santoro, ora agli arresti domiciliari, continuano a negare di aver conosciuto Giusy. Solo la seconda dice di essere amica della sorella maggiore, Michela Potenza. Le smentisce la testimonianza di un “cliente” che a sua volta è stato denunciato per la minore età di Giusy, con la quale ha ammesso di aver avuto rapporti a pagamento.
“Giusy – spiega Lauriola – illusa dal guadagno facile che poteva derivarne, in realtà si limitava a rapporti non completi con i clienti che le due le procuravano. Le tariffe, a seconda della prestazione, andavano dai dieci ai trenta euro. Soldi che utilizzava per il telefonino o per pagare la pizza al fidanzatino. Il ragazzo ha confermato che la ragazzina proprio negli ultimi due mesi aveva una disponibilità di denaro mai avuta prima”.
Quando queste notizie hanno cominciato a circolare, qualcosa deve essere scattato nella mente di Carlo. La famiglia Potenza non ha mai creduto alla versione degli inquirenti sulle modalità dell’omicidio e tantomeno crede che la “bambina” potesse essere arrivata a tanto. La sorella maggiore di Giusy, Michela, di diciotto anni, intanto, non parla. E’ l’unica persona che potrebbe aggiungere qualche tassello mancante per ricostruire il puzzle degli ultimi mesi di vita di Giusy.
Le famiglie Potenza e Mangini vivono a pochi isolati di distanza, nello stesso quartiere. A Monticchio, il clan Mangini spadroneggia. Il business principale è la droga. Il capofamiglia ferito dal padre di Giusy era uscito da poco dal carcere. Un figlio ventenne, Matteo, fu ucciso nel 2001 nello stesso luogo in cui era stato ammazzato Lorenzo Ferrandino, compagno dell’allora quattordicenne Floriana Mangini, che da lui aveva avuto il primo figlio.
La famiglia Potenza non aveva nulla a che fare con tutto questo. Ma è difficile rimanere incontaminati se hai quindici anni, vuoi tutto (il superfluo) e non puoi avere nulla. “Un mese e mezzo prima dell’omicidio – racconta il sindaco di Manfredonia Paolo Campo – Giusy era venuta con la mamma nel mio ufficio. La signora chiedeva un aiuto. Dopo la morte della ragazza abbiamo accelerato l’iter per il rilascio della licenza a Carlo Potenza che aveva messo su una bancarella al mercato settimanale dove vendeva pesce. E’ una brava persona, penso che abbia commesso una grande stupidaggine a colpire il Mangini”.
“Il dramma è ora delle due mogli”, continua Campo. La signora Grazia (Rignanese, moglie di Carlo, n.dr.), sembra in attesa di un altro figlio, e la giovanissima moglie di Giovanni Potenza, che si è trasferita a Modena con i due figli, dove la bambina più grande di sei anni continua a chiederle con insistenza del perché il papà non torna”.
“Ma non metteteci addosso alcun marchio” conclude l’avvocato Campo, al suo secondo mandato di sindaco: la storia di Giusy Potenza è accaduta a Manfredonia ma sarebbe potuta accadere in ogni altro posto. L’omicidio è maturato in un particolare contesto sociale, di disagio familiare.” E per dimostrare quanto facile sia instaurare rapporti con i manfredoniani mostra la foto con dedica di Roberto Vittori, l’astronauta italiano andato in orbita ad aprile scorso. Come promesso ai dirigenti della locale squadra di calcio, Vittori, che è romano, nello spazio avrebbe indossato la maglia del Manfredonia Calcio, quest’anno promosso in C1. Lo ha fatto in diretta televisiva in un collegamento col TG1. Tra le stelle che gli brillavano intorno forse c’era anche quella di una ragazza che dalla vita aveva avuto poco e preteso tutto. Troppo in fretta per i suoi quindici anni.
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